The shape of peace
Steven Ricci
Inaugurazione: sabato 9 novembre 2024 ore 17,30
dal 9 al 30 novembre 2024
Orari: dal mercoledì al sabato dalle 17,00 alle 19,30
La nuova stagione espositiva della Galleria d’Arte Puccini di quest’anno continua con una mostra personale dedicata ad un giovanissimo artista della provincia di Ancona, che nella sua tutt’ora essenziale e recente ricerca artistica propone un progetto fotografico di un significato latente, quello di mettere lo spettatore in una posizione “scomoda”, come costringerlo a guardare anche i minimi dettagli delle cose. La forza e a volte l’asprezza delle immagini presentate è volta a poter generare emozioni forti e profonde, paure, che conducono alla vulnerabilità di ognuno che apre al dialogo e rinnova come individui.
Il giovane artista in calce alla presentazione del catalogo riporta una frase Ernst Junger “noi stiamo dalla parte del sangue e della vita”, che evoca vitalismo, difesa istintiva, intesa ad infondere coraggio. Ed è in questo senso che Steven intende la funzione della fotografia, così come quella della moda o quella dell’elemento del gioiello, come strumenti di comunicazione e critica sociale; l’elogio del macabro per una purificazione emotiva, una sfida dell’ignoto per esplorare gli aspetti più oscuri della natura umana.
L’impronta stilistica delle fotografie che sono esposte (nell’utilizzo dei soggetti e delle composizioni e soprattutto dei contrasti molto elevati), tendono a richiamare i temi del dolore o della morte, ma anche quelli della volontà capace e della sopravvivenza, sullo sfondo di una Natura intesa quale principio originario preesistente.
Questa ricerca ha come presupposto anche un’intima curiosità al mondo del gioiello e ciò che spiritualmente rappresenta attraverso l’etnico, le pietre e i cristalli.
Scrive Paolo Monina nel catalogo della mostra: “Il lavoro di Steven Ricci si colloca e si configura nella musica di Francesco Paolo Tosti e nella poesia di G. d’Annunzio Vorrei morire. Steven è persona capace di scrivere pensieri con immagini taglienti e potenti, che non lasciano spazio al pensiero altro, alternativo. Le sue immagini e le sue creazioni descrivono la realtà oggettiva di una cruda contemporaneità.”
Steven Ricci
Nato a Jesi (Ancona), nel 2000 vive a Corinaldo.
Quello che lo ha sempre contraddistinto è la sua grande curiosità. Dopo una prima esperienza scolastica iniziata frequentando un Istituto tecnico biologico, la decisione di continuare la propria formazione percorrendo altre strade lo porta a sviluppare gli interessi che da tempo coltivava come quelli verso la fotografia, il cinema, le arti visive e il mondo della moda, che si concludono con il Diploma di laurea in Fashion Design presso l’Accademia di Belle Arti Poliarte di Ancona.
Appassionato di lettura saggistica (filosofia e sociologia), di fotografia e arte, è interessato all’attualità e a tutto ciò che può contribuire a creare narrazioni per i suoi progetti. Ultimamente ha sviluppato un interesse per il gioiello con l’intenzione di volerne scavare più a fondo nei significati.
A proposito degli spunti per la costruzione del suo lavoro Steven Ricci scrive: “… cosa ci interessa di più? Fondamentalmente il dolore, la morte, e tutto ciò che facciamo è una volontà per liberarcene. Il costume rappresenta una di queste volontà, prima per questioni di sopravvivenza, poi religiose, sociali, di svago, di rivoluzione, di comunicazione. La natura come principio originario preesistente ad ogni volontà individuale, è Lei che ci impone i limiti fisici e morali. I primi vengono superati grazie alla produzione tecnologica e il progresso. I secondi siamo noi stessi ad affrontarli attraverso la volontà, l’etica e le norme sociali. La moda e la fotografia hanno contribuito tantissimo alla distruzione, alla mutazione ed alla evoluzione dei valori.
Rappresentare il corpo aperto, smembrato di una donna incinta mette al centro una situazione di gravità massima e allo stesso tempo contrastante, in quanto vita e morte presenti nello stesso istante. Il bambino sezionato, aperto e trasformato in una pochette rappresenta il simbolo di una cultura del macabro trasformatrice delle nostre sensibilità. I gioielli richiamano il lutto vittoriano e anch’essi sono spinti da un simbolismo naturale molto potente. L’estetica delle fotografie richiama queste situazioni utilizzando contrasti molto alti e pose, composizioni che spingono sulla ragione di chi guarda”.
dal 9 al 30 novembre 2024
Orari: dal mercoledì al sabato dalle 17,00 alle 19,30
La nuova stagione espositiva della Galleria d’Arte Puccini di quest’anno continua con una mostra personale dedicata ad un giovanissimo artista della provincia di Ancona, che nella sua tutt’ora essenziale e recente ricerca artistica propone un progetto fotografico di un significato latente, quello di mettere lo spettatore in una posizione “scomoda”, come costringerlo a guardare anche i minimi dettagli delle cose. La forza e a volte l’asprezza delle immagini presentate è volta a poter generare emozioni forti e profonde, paure, che conducono alla vulnerabilità di ognuno che apre al dialogo e rinnova come individui.
Il giovane artista in calce alla presentazione del catalogo riporta una frase Ernst Junger “noi stiamo dalla parte del sangue e della vita”, che evoca vitalismo, difesa istintiva, intesa ad infondere coraggio. Ed è in questo senso che Steven intende la funzione della fotografia, così come quella della moda o quella dell’elemento del gioiello, come strumenti di comunicazione e critica sociale; l’elogio del macabro per una purificazione emotiva, una sfida dell’ignoto per esplorare gli aspetti più oscuri della natura umana.
L’impronta stilistica delle fotografie che sono esposte (nell’utilizzo dei soggetti e delle composizioni e soprattutto dei contrasti molto elevati), tendono a richiamare i temi del dolore o della morte, ma anche quelli della volontà capace e della sopravvivenza, sullo sfondo di una Natura intesa quale principio originario preesistente.
Questa ricerca ha come presupposto anche un’intima curiosità al mondo del gioiello e ciò che spiritualmente rappresenta attraverso l’etnico, le pietre e i cristalli.
Scrive Paolo Monina nel catalogo della mostra: “Il lavoro di Steven Ricci si colloca e si configura nella musica di Francesco Paolo Tosti e nella poesia di G. d’Annunzio Vorrei morire. Steven è persona capace di scrivere pensieri con immagini taglienti e potenti, che non lasciano spazio al pensiero altro, alternativo. Le sue immagini e le sue creazioni descrivono la realtà oggettiva di una cruda contemporaneità.”
Steven Ricci
Nato a Jesi (Ancona), nel 2000 vive a Corinaldo.
Quello che lo ha sempre contraddistinto è la sua grande curiosità. Dopo una prima esperienza scolastica iniziata frequentando un Istituto tecnico biologico, la decisione di continuare la propria formazione percorrendo altre strade lo porta a sviluppare gli interessi che da tempo coltivava come quelli verso la fotografia, il cinema, le arti visive e il mondo della moda, che si concludono con il Diploma di laurea in Fashion Design presso l’Accademia di Belle Arti Poliarte di Ancona.
Appassionato di lettura saggistica (filosofia e sociologia), di fotografia e arte, è interessato all’attualità e a tutto ciò che può contribuire a creare narrazioni per i suoi progetti. Ultimamente ha sviluppato un interesse per il gioiello con l’intenzione di volerne scavare più a fondo nei significati.
A proposito degli spunti per la costruzione del suo lavoro Steven Ricci scrive: “… cosa ci interessa di più? Fondamentalmente il dolore, la morte, e tutto ciò che facciamo è una volontà per liberarcene. Il costume rappresenta una di queste volontà, prima per questioni di sopravvivenza, poi religiose, sociali, di svago, di rivoluzione, di comunicazione. La natura come principio originario preesistente ad ogni volontà individuale, è Lei che ci impone i limiti fisici e morali. I primi vengono superati grazie alla produzione tecnologica e il progresso. I secondi siamo noi stessi ad affrontarli attraverso la volontà, l’etica e le norme sociali. La moda e la fotografia hanno contribuito tantissimo alla distruzione, alla mutazione ed alla evoluzione dei valori.
Rappresentare il corpo aperto, smembrato di una donna incinta mette al centro una situazione di gravità massima e allo stesso tempo contrastante, in quanto vita e morte presenti nello stesso istante. Il bambino sezionato, aperto e trasformato in una pochette rappresenta il simbolo di una cultura del macabro trasformatrice delle nostre sensibilità. I gioielli richiamano il lutto vittoriano e anch’essi sono spinti da un simbolismo naturale molto potente. L’estetica delle fotografie richiama queste situazioni utilizzando contrasti molto alti e pose, composizioni che spingono sulla ragione di chi guarda”.